Palinodia

Une palinodie (Du grec, de nouveau, à rebours ; πάλιν, palin, « en arrière », et ὠδή, ôdê, « chant »): partie d'un texte où l’auteur révoque ce qu'il s'est efforcé de démontrer dans le développement (effet utilisé en littérature, théâtre ou poésie).

D'une façon générale, il s’agit de se contredire ou plus largement de se rétracter ou se désavouer.

  • La palinodie de Socrate dans le Phèdre de Platon (243 a-e).

  • Dans Les Regrets de du Bellay ( sonnet CXXX la palinodie du sonnet XXXI).

  • Rousseau dans l'avertissement qui précède son Discours sur les sciences et les arts critique la portée de son ouvrage.

  • Thierry Lhermitte (Le père Noël est une ordure) : "Je n'aime pas dire du mal des gens, mais effectivement, elle est gentille."

L’écrit ci-dessous est un essai de traduction du livre de Leopardi:

(Italien original=>Français=>Italien).

Palinodia

Errai, candido Gino (amico) ; errai gran tempo,

E di gran lunga errai. Misera e vana

Stimai la vita, e sovra l’altre insulsa

La stagion ch’or si volge. Intolleranda

Parve, e fu, la mia lingua alla beata

Prole mortal, se dir si dee mortale

L’uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno,

Dall’Eden odorato in cui soggiorna,

Rise l’alta progenie, e me negletto

Disse, o mal venturoso, e di piaceri

O incapace o inesperto, il proprio fato

Creder comune, e del mio mal consorte

L’umana specie. Alfin per entro il fumo

De’ sigari onorato, al romorio

De’ crepitanti pasticcini, al grido

Militar, di gelati e di bevande

Ordinator, fra le percosse tazze

E i branditi cucchiai, viva rifulse

Agli occhi miei la giornaliera luce

Delle gazzette. Riconobbi e vidi

La publica letizia, e le dolcezze

Del destino mortal. Vidi l’eccelso

Stato e il valor delle terrene cose,

E tutto fiori il corso umano, e vidi

Come nulla quaggiù dispiace e dura.

Nè men conobbi ancor gli studi e l’opre

Stupende, e il senno, e le virtudi, e l’alto

Saver del secol mio. Nè vidi meno

Da Marocco al Catai, dall’Orse al Nilo,

E da Boston a Goa, correr dell’alma

Felicità su l’orme a gara ansando

Regni, imperi e ducati; e già teneria

O per le chiome fluttuenti, o certo

Per l’estremo del boa. Così vedendo,

E meditando sovra i larghi fogli

Profondamente, del mio grave, antico

Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.

Aureo secolo omai vologono, o Gino (amico mio),

I fusi delle Parche. Ogni giornale,

Gener vario di lingue e di colonne,

Da tutti i lidi lo promette al mondo

Concordemente. Universale amore,

Ferrate vie, moltiplici commerci,

Vapor, tipi e choléra i più divisi

Popoli e climi stringeranno insieme :

Nè maraviglia fia se pino o quercia

Suderà latte e mele, o s’anco al suono

D’un walser danzerà. Tanto la possa

Infin qui de’ lambicchi e delle storte,

E le macchine al cielo emulatrici

Crebbero, e tanto cresceranno al tempo

Che seguirà; poichè di meglio in meglio

Senza fin vola e volerà mai sempre

Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.

Ghiande non ciberà certo la terra

Però, se fame non la sforza : il duro

Ferro non deporrà. Ben molte volte

Argento ed or disprezzerà, contenta

A polizze di cambio. E già dal caro

Sangue de’ suoi non asterrà la mano

La generosa stirpe : anzo coverte

Fien di stragi l’Europa e l’altra riva

Dell’atlantico mar, fresca nutrice

Di pura civiltà, sempre che spinga

Contrarie in campo le fraterne schiere

Di pepe o di cannella o d’altro aroma

Fatal cagione, o di melate canne,

O cagion qual si sia ch’ ad auro torni.

Valor vero e virtù, modestia e fede

E di giustizia amor, sempre in qualunque

Pubblico stato, alieni in tutto e lungi

Da’ comuni negozi, ovvero in tutto

Sfortunati saranno, afflitti e vinti :

Perchè diè lor natura, in ogni tempo

Starsene in fondo. Ardir protervo e frode,

Con mediocrità, regneran sempre,

A galleggiar sortiti. Imperio e forze,

Quanto più vogli o cumulate o’ sparse,

Abuserà chiunque avralle, e sotto

Qualunque nome. Questa legge in pria

Scrisser natura e il fato in adamante;

E co’ fulmini suoi Volta nè Davy

Lei non cancellerà, non Anglia tutta

Con le macchine sue, nè con un Gange

Di politici scritti il secol novo.

Sempre il buono in tristezza, il vile in festa

Sempre e il ribaldo : incontro all’alme eccelse

In arme tutti congiurati i mondi

Fieno in perpetuo : al vero onor seguaci

Calunnia, odio e livor : cibo de’ forti

Il debole, cultor de’ ricchi e servo

Il digiuno mendico, in ogni forma

Di comun reggimento, o presso o lungi

Sien l’eclittica o i poli, eternamente

Sarà, se al gener nostro il proprio albergo

E la face del dì non vengon meno.

Queste lievi reliquie e questi segni

Della passate età, forza è che impressi

Porti quella che sorge età dell’oro :

Perchè mille discordi e repugnanti

L’umana compagnia principii e parti

Ha per natura; e por quegli odii in pace

Non valser gl’intelletti e le possanze

Degli uomini giammai, dal dì che nacque

L’inclita schiatta, e non varrà, quantunque

Saggio sia nè possente, al secol nostro

Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose

Più gravi, intera, e non veduta innanzi,

Fia la mortal felicità. Più molli

Di giorno in giorno diverran le vesti

O di lana o di seta. I rozzi panni

Laciando a prova agricoltori e fabbri,

Chiuderanno in coton la scabra pelle,

E di castoro copriran le schiene.

Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri

Certamente a veder, tappeti et coltri,

Seggiole, canapè, sgabelli e mense,

Letti, ed ogni altro arnese, adorneranno

Di lor menstrua beltà gli appartamenti;

E nove forme di paiuoli, e nove

Pentole ammirerà l’arsa cucina.

Da Parigi a Calais, di quivi a Londra,

Da Londra a Liverpool, rapido tanto

Sarà, quant’altri immaginar non osa,

Il cammino, anzi il volo : e sotto l’ampie

Vie del Tamigi fia dischiuso il varco,

Opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso

Dovea, già son molt’anni. Illuminate

Meglio ch’or son, benchè sicure al pari,

Nottetempo saran le vie men trite

Delle città sovrane, e talor forse

Di suddita città le vie maggiori.

Tali dolcezze e sì beata sorte

Alla prole vegnente il ciel destina.

Fortunati color che mentre io scrivo

Miagolanti in su le braccia accoglie

La levatrice ! a cui veder s’aspetta

Quei sospirati dì, quando per lunghi

Studi fia noto, e imprenderà col latte

Dalla cara nutrice ogni fanciullo,

Quanto peso di sal, quanto di carni,

E quante moggia di farina inghiotta

Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti

In ciascun anno partoriti e morti

Scriva il vecchio prior : quando, per opra

Di possente vapore, a milioni

Impresse in un secondo, il piano e il poggio,

E credo anco del mar gl’immensi tratti,

Come d’aeree gru stuol che repente

Alle late campagne il giorno involi,

Copriran le gazzette, anima e vita

Sell’universo, e di savere a questa

Ed alle età venture unica fonte !

Quale un fanciullo, con assidua cura,

Di fogliolini e di fuscelli, in forma

O di tempio o di torre o di palazzo,

Un edificio innalza; e come prima

Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,

Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli

Per novo lavorio son di mestieri;

Così natura ogni opra sua, qunatunque

D’alto artifico a contemplar, non prima

Vede perfetta, ch’a disfarla imprende,

Le parti sciolte dispensando altrove.

E indarno a preservar se stesso ed altro

Dal gioco reo, la cui ragion gli è chiusa

Eternamente, il mortal seme accorre

Mille virtudi oprando in mille guise

Con dotta man : che, d’ogni sforzo in onta,

La natura crudel, fanciullo invitto,

Il suo capriccio adempie, e senza posa

Distruggendo e formando si trastulla.

Indi varia, infinta una famiglia

Di mali immedicabili e di pene

Preme il fragil mortale, a perir fatto

Irreparabilmente : indi una forza

Ostil, ditsruggitrice, e dentro il fere

E di fuor da ogni lato, assidua, intenta

Dal dì che nasce; e l’affatica e stanca,

Essa indefatigata; insin ch’ei giace

Alfin dell’empia madre oppresso e spento.

Queste, o spirto gentil, miserie estreme

Dello stato mortal; vecchiezza e morte,

ch’han principio d’allor che il labbro infante

Preme il tenero sen che vita instilla;

Emendar, mi cred’io, non può la lieta

Nonadecima età più che potesse

La decima o la nona, e non potranno

Più di questa giammai l’età future.

Però, se nominar lice talvolta

Con proprio nome il ver, non altro in somma

Fuor che infelice, in qualisvoglia tempo,

E non pur, ne’ civili ordini e modi,

Ma della vita in tutte l’altre parti,

Per essenza insanabile, e per legge

Universal, che terra e cielo abbraccia,

Ogni nato sarà. Ma novo e quasi

Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi

Spirti del secolo mio : che, non potendo

Felice in terra far persona alcuna,

L’uomo obbliando, a ricercar si diero

Una comun felicitade; e quella

Trovata agevolmente, essi di molti

Tristi e miseri tutti, un popol fanno

Lieto e felice : e tal portendo, ancora

Da pamphlets, da riviste e da gazzette

Non dichiarato, il civil gregge ammira.

Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume

Dell’età ch’or si volge ! E che sicuro

Filosofar, che sapienza, o amico mio,

In più sublimi ancora e più riposti subbietti insegna ai secoli futuri

Il mio secolo e tuo ! Con che constenza

Quel che ieri schernì, prosteso adora

Oggi, e domani abbatterà, per girne

Raccozzando i rottami, e per riporlo

Tra il fumo degl’incensi il dì vegnente !

Quanto estimar si dee, che fede inspira

Del secol che si volge, anzi dell’anno,

Il concorde sentir ! con questa cura

Convienci a quel dell’anno, al qual difforme

Fia quel dell’alto appresso, il sentir nostro

Comparendo, fuggir che mai d’un punto

Non sien diversi ! E di che tratto innanzi,

Se al moderno si opponga il tempo antico,

Filosofando il saper nostro è scorso !

Un già de’ tuoi, lodato amico mio; un franco

Di poetar maestro, anzi di tutte

Scienze ed arti e facoltadi umane,

E menti che fur mai, sono e saranno,

Dottore, emendator, lascia, mi disse,

I propri affetti tuoi. Di lor non cura

Questa virile età, volta ai severi

Economici studi, e intenda il ciglio

Nelle pubbliche cose. Il proprio petto

Esplorar che ti val ? Materia al canto

Non cercar dentro te. Canta i bisogni

Del secol nostro, e la matura speme.

Memorande sentenze ! ond’io solenni

Le risa alzai quando sonava il nome

Della sperenza al mio profano orecchio

Quasi comica voce, o come un suono

Di lingua che dal latte si scompagni.

Or torno additero, ed al passato un corso

Contrario imprendo, per non dubbi esempi

Chiaro oggimai ch’al secol proprio vuolsi,

Non contraddir, non repugnar, se lode

Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente

Adulando ubbidir : così per breve

Ed agiato cammin vassi alle stelle.

Ond’io, degli astri desioso, al canto

Del secolo i bisogni omai non penso

Materia far; che a quelli, ognor crescendo,

Provveggono i mercati e le officine

Già largamente; ma la speme io certo

Dirò, la speme, onda visibil pegno

Già concedon gli Dei; già, della nova

Felicità principio, ostenta il labbro

De’ giovani, e la guancia, enorme il pelo.

O salve, o segno salutare, o prima

Luce della famosa età che sorge.

Mira dinanzi a te come s’allegra

La terra e il ciel, come sfavilla il guardo

Delle donzelle, e per conviti e feste

Qual de’ barbati eroi fama già vola.

Cresci, cresci alla patria, o maschia certo

Moderna prole. All’ombra de’ tuoi velli

Italia crescerà, crescerà tutta

Dalle foci del Tago ell’Ellesponto

Europa, e il mondo poserà sicuro.

E tu comincia a salutar col riso

Gl’ispidi genitori, o prole infante,

Eletta agli aurei dì : nè ti spauri

L’innocuo nereggiar de’ cari aspetti.

Ridi, o tenera prole : a te serbato

È di cotanto favellare il frutto;

veder gioia regnar, cittadi e ville,

Vecchiezza e gioventù del par contente,

E le barbe ondeggiar lunghe due spanne.

(Essai de traduction)

Palinodie

    Je me suis trompé, candide ami. Longtemps et lourdement, je me suis trompé. Je jugeais la vie vaine et méprisable, et notre siècle plus insipide que les autres. Ma pensée parut intolérable à cette bienheureuse race mortelle - si l'on peut dire encore de l'homme qu'il est mortel. Entre stupeur et colère, du fond de l'Eden parfumé où elle a sa demeure, la noble espèce se mit à rire et déclara que j'étais délaissé, malchanceux, incapable ou sans expérience des plaisirs, que je croyais mon sort commun à tout le monde et l'humanité victime de mes maux. Mais enfin, à travers la glorieuse fumée des cigares et le crépitement des pâtisseries, aux cris martiaux commandant des sorbets et des liqueurs, parmi les chocs des tasses et les cuillères qu'on brandit, éclatante à mes yeux brilla la lumière quotidienne des gazettes. Je vis, je reconnus l'allégresse publique et les douceurs du destin de l'homme. Je vis la condition sublime et la valeur des choses terrestres, la carrière de l'homme toute fleurie, et je vis comment ici-bas rien de déplaisant ne dure. Je reconnus encore les études, les œuvres stupéfiantes, et la sagesse, et la vertu, et le profond savoir de mon époque. Je vis aussi, du Maroc au Cathay, du pôle Nord au Nil, de Boston à Goa, royaumes, empires et duchés courir à l'envi en s'essoufflant sur les traces de la douce félicité, et déjà l'attraper par sa crinière flottante ou, du moins, par la queue de son boa. Ainsi, méditant profondément les immenses feuilles des journaux, de ma lourde et vieille erreur, et de moi-même, je me mis à rougir.

    Désormais, mon ami, les fuseaux des Parques nous filent un siècle d'or. De tous les bords, tous les journaux (il en est dans toutes les langues et tous les formants) l'annoncent d'un même cœur au monde : l'amour universel, les voies ferrées, le commerce, la vapeur, l'imprimerie, le choléra, embrasseront ensemble tous les pays et les climats. Nul ne s'étonnera si le pin ou le chêne surent le lait ou le miel, ou même se mettent à danser la valse ! Tant la puissance des alambics et des cornues et des machines concurrentes du ciel a crû jusqu'ici et se développera dans l'avenir, puisque, de jour en jour, plus haut s'élève et toujours plus s'élèvera la semence de Sem, de Cham et de Japhet.

    Certes, la terre ne se nourrira pas pour autant de glands, si la faim ne l'y force; elle ne déposera pas le dur soc; souvent elle méprisera l'or et l'argent pour se contenter de billets. La généreuse race ne se privera pas non plus du sang bien-aimé de ses frères - et même elle couvrira de cadavres l'Europe et l'autre rive de l'Atlantique, jeune mère d'une pure civilisation, chaque fois qu'une fatale raison de poivre, de cannelle, de canne à sucre ou de quelque autre épice, ou toute autre raison qui tourne à l'or, poussera dans des camps contraires la fraternelle engeance. Sous tout régime, la vraie valeur, la modestie et la foi, l'amour de la justice seront toujours étrangers, exclus des relations civiles, et sans cesse malheureux, accablés et vaincus, car la nature a voulu qu'ils restassent cachés. L'impudence, la fraude et la médiocrité triompheront toujours, destinés par nature à surnager. Quiconque a la force et le pouvoir, qu'il les cumule ou les partage, il en abusera, sous quelque nom que ce soit. Cette loi, la nature et le destin l'ont inscrite dans le diamant, et ni Davy ni Volta, avec l'aide de leurs éclairs, ne l'effaceront, ni l'Angleterre avec toutes ses machines, ni par un fleuve d'écrits politiques le nouveau siècle. L'homme bon sera toujours dans la tristesse; le vil, le vaurien, toujours en fête; et les mondes toujours conjurés contre les hauts esprits. La calomnie, la haine et la jalousie pourchasseront l'authentique honneur; ici et là, de l'équateur au pôle, sous tout gouvernement, le faible sera toujours la proie des forts, le pauvre, esclave et courtisan des riches, tant que cette race ne sera pas privée de sa demeure et de la torche du jour.

    Ces restes légers, ces traces des époques révolues, force est que cet âge d'or qui se lève en porte un peu la marque : la communauté humaine est par nature composée d'éléments et de partis contraires, et, depuis, qu'est apparue cette illustre espèce, jamais les pouvoirs de l'intelligence n'ont pu apaiser ces haines, et nul journal, nul contrat social, pour sages ou puissants qu'ils soient, n'y parviendront dans ce siècle. Mais, dans les choses plus graves, le bonheur des mortels sera total et jamais vu. De jour en jour, les vêtements de laine et de soie se feront plus légers. Les paysans et les ouvriers, dépouillant leurs gros vêtements, revêtiront de coton leur peau rude et de poil de castor leur échine. Plus adaptés aux besoins, plus élégants en tout cas, tapis et couvertures, sièges, canapés, tabourets, tables, lits et autres meubles orneront les appartements de leur mensuelle beauté. Et la cuisine ardente admirera de nouvelles marmites, de nouveaux poêlons. De Paris à Calais, de Calais à Londres, de Londres à Liverpool, la route, ou plutôt le vol, sera plus rapide qu'on n'ose l'imaginer; sous l'ample cours de la Tamise, un passage sera percé, œuvre immortelle et hardie qui devrait être accomplie depuis bien des années déjà. Les rues les moins passantes des capitales (toujours aussi sûres) seront mieux éclairées la nuit, et peut-être celles des autres villes le seront-elles aussi. Telles sont les douceurs, tel est le sort bienheureux que le ciel destine aux enfants à venir.

    Heureux ceux qu'à l'heure où j'écris la sage-femme reçoit vagissants dans ses bras ! Eux qui verront des jours soupirés, quand, par de longues études, et dès le lait de la chère nourrice, tout enfant apprendra le poids de sel, de viande et de farine que son village natal engloutit chaque mois, le nombre de naissances et de morts qu'enregistre tous les ans le vieux curé - quand, par la puissance de la vapeur, imprimés par millions en un instant, comme une bande de grues dans le ciel qui soudain dérobe le jour aux vastes campagnes, les journaux couvriront les plaines et les monts et, je l'imagine, les immenses étendues de la mer : les journaux, âme et vie de l'univers et source unique de savoir pour ce siècle et les temps à venir.

    Comme un enfant bâtit soigneusement des bouts de papier et de fétus un édifice en forme de tour, de temple ou de palais, puis, à peine achevé, le regarde et le démolit aussitôt, parce que ces fétus et ces feuilles lui sont nécessaires pour un nouvel ouvrage, ainsi la Nature, pour admirable que semble son œuvre, défait tous ses ouvrages à peine finis, pour disposer plus loin les éléments dissous. Et c'est en vain, pour se garder lui et les autres de ce jeu cruel dont la raison lui est à jamais cachée, que le mortel recourt à mille ruses savantes : au mépris de ses efforts, la féroce Nature, invincible enfant, satisfait ses caprices et, sans repos, se divertit à bâtir et à détruire. C'est ainsi qu'une suite infinie et changeante de peines et de maux sans remèdes tourmente le fragile mortel, destiné sans recours à mourir. C'est ainsi qu'une force ennemie, destructrice, le frappe inflexiblement en lui-même et de tout côté depuis sa naissance, le fatigue et l'épuise infatigablement jusqu'à ce qu'il s'abatte mort, accablé par sa criminelle mère. Telle est, noble esprit, l'extrême misère de la condition mortelle : la vieillesse et la mort commencent quand la lèvre enfantine presse le tendre sein qui lui infuse la vie. Les corriger, je ne crois pas que le puisse le XIX siècle pas davantage que le IX ou le X, et pas plus les prochains. Mais si jamais il est permis de nommer la vérité par son nom, de tout temps et de partout, non seulement dans la cité mais dans tous les domaines de la vie, tout homme né sera malheureux, inguérissable par essence et par la loi qui embrasse le ciel et la terre. Mais les excellents esprits de mon siècle ont eu cette idée nouvelle et presque divine : dans l'impossibilité de rendre heureux chaque homme sur la terr, ils ont oublié l'homme et se sont mis en quête du bonheur général; cela trouvé sans effort, de ces nombreux désespérés, de tous ces misérables, ils font un peuple heureux et gai ! Un tel prodige, encore inexpliqué dans les pamphlets, les revues, les gazettes, suscite l'admiration du troupeau social.

    O esprits, ô sagesse, ô surhumaine lucidité de ce temps ! Et quelle science, quelle sûre philosophie, ô ami, notre siècle enseigne-t-il aux siècles futurs sur des sujets plus sublimes encore et plus obscurs ! Avec quelle constance adore-t-il aujourd'hui ce qu'hier il raillait, et qu'il abattra demain pour en ramasser les débris et les relever le jour prochain dans les fumées de l'encens ! Quelle confiance, quel jugement peut inspirer le sentiment commun de ce siècle, ou plutôt de l'année en cours ! Quel soin convient-il de prendre en comparant son opinion à celle de l'année, qui divergera de celle de l'année suivante, pour qu'elles ne diffèrent en rien ! Ah, si l'on oppose l'Antiquité aux temps modernes, comme a progressé notre philosophie !

    Un de tes proches d'autrefois, digne ami, sûr maître en poésie, et même en tout art, toute science ou discipline humaine, docteur, réformateur, me dit un jour : "Laisse là tes sentiments. Ce temps viril ne s'en soucie, qui se tourne vers les sévères études économiques et s'occupe de politique. Que te sert d'explorer ton propre cœur ? Ne cherche pas en toi matière au chant, mais chante les besoins de notre siècle et l'espérance mûre." Paroles mémorables ! J'éclatai d'un rire solennel quand j'entendis sonner à ma profane oreille le mot d'espérance, ce mot presque comique, semblable au bruit que fait la bouche qui se déprend du sein. Mais à présent je rebrousse chemin, je me retourne, ayant enfin compris par des exemples sûrs qu'il ne faut jamais contredire ni refuser son temps si l'on cherche les louanges et la gloire, mais fidèlement lui obéir : c'est ainsi qu'on va jusqu'aux nues par un chemin facile. Cependant, moi qui désire les astres, je ne pense pas faire des besoins du siècle matière de mon chant : les marchés et les bureaux y pourvoient largement; mais je dirai l'espérance, oui, l'espérance dont déjà les dieux nous donnent un gage clair : déjà, principe du bonheur nouveau, les jeunes gens arborent sur leurs joues d'énormes barbes !

    Salut, ô signe rédempteur, ô première lumière des temps glorieux qui se lèvent ! Vois comme autour de toi jubilent le ciel et la terre, comme brille le regard des demoiselles, et comment la gloire des héros barbus vole par les banquets et les fêtes ! Grandis, grandis pour la patrie, ô virile (à n'en pas douter) race moderne ! A l'ombre de ta toison grandira l'Italie et toute l'Europe, du Tage à l'Hellespont, et le monde reposera en paix. Et toi, jeune lignée, destinée à l'âge d'or, commence à saluer de tes sourires tes pères hirsutes, et ne t'effraie pas de l'inoffensive noirceur de ces chers visages. Souris, tendre couvée, le fruit de tant de bavardage t'est réservé : vois triompher la joie; villes et champs, vieillards et jeunes gens également heureux; et les barbes flotter, longues de deux empans.

(Reverso)

Palinodia

Mi sbagliavo, amico sincero. Lungo e duro, mi sbagliavo. Giudicavo la vita vana e spregevole, e il nostro secolo più insipido degli altri. Il mio pensiero sembrava intollerabile a questa benedetta razza mortale, se l'uomo si può ancora dire mortale. Tra stupore e rabbia, dalle profondità dell'Eden profumato dove ha la sua dimora, la nobile specie cominciò a ridere e dichiarò che ero abbandonato, sfortunato, incapace o senza esperienza dei piaceri, che credevo il mio destino comune a tutto il mondo e l'umanità vittima dei miei mali. Ma, finalmente, tra il fumo glorioso dei sigari e il crepitio delle pasticcerie, tra le grida marziali che ordinano sorbetti e liquori, tra gli scontri delle tazze e dei cucchiai che si brandiscono, brillante ai miei occhi splendeva la luce quotidiana dei giornali. Vidi, riconobbi la gioia pubblica e la dolcezza del destino dell'uomo. Vidi la condizione sublime e il valore delle cose terrene, la carriera tutta fiorita dell'uomo, e vidi come nulla di spiacevole dura quaggiù. Riconobbi ancora gli studi, le opere stupefacenti, la saggezza, la virtù e la profonda sapienza del mio tempo. Vidi anche, dal Marocco al Catai, dal Polo Nord al Nilo, da Boston a Goa, regni, imperi e ducati correre dall'impazzata, trafelati sulle trace della dolce felicità, e già afferrandola per la criniera fluttuante o, almeno, per la coda del suo boa. Allora, meditando profondamente sugli immensi fogli dei giornali, sul mio vecchio e grave errore, e su me stesso, cominciai ad arrossire.

D'ora in poi, amico mio, i fusi delle Parche ci regalano un secolo d'oro. Da ogni parte, tutti i giornali (ce ne sono in tutte le lingue e in tutte le forme) lo annunciano con un solo cuore al mondo : l'amore universale, le ferrovie, il commercio, il vapore, la stamperia, il colera, abbracceranno insieme tutti i paesi, sotto tutti i climi. Nessuno si stupirà se il pino o la quercia suderano latte e miele, o addirittura inizieranno a ballare il valzer ! Tanta è cresciuta finora la potenza degli alambicchi e delle storte e delle macchine concorrenti del cielo e si svilupperà in futuro, poiché di giorno in giorno sempre più in alto sorge e sempre più in alto sorgerà il seme di Sem, di Cam e di Iafet.

Certamente la terra non si nutrirà tuttavia di ghiande, se la fame non la costringerà; non deporrà il duro vomere; spesso disprezzerà oro e argento per accontentarsi di banconote. Né la razza generosa si priverà del sangue amato dei suoi fratelli – e coprirà di cadaveri perfino l’Europa e l’altra sponda dell’Atlantico, giovane madre di una civiltà pura, ogni volta che una causa fatale di pepe, cannella, canna da zucchero o qualche altra spezia, o qualunque altra ragione relativa all'oro, spingerà la fraterna covata in campi opposti. Sotto qualunque regime, il vero valore, la modestia e la fede, l'amore per la giustizia saranno sempre estranei, esclusi dai rapporti civili, e costantemente infelici, sopraffatti e sconfitti, perché la natura ha voluto che rimanessero nascosti. Trionferanno sempre l’impudenza, la frode e la mediocrità, destinate dalla natura a sopravvivere. Chiunque abbia forza e potere, sia che lo accumula o lo condivida, ne abuserà, sotto qualunque nome. Questa legge, natura e destino l'hanno inscritta nel diamante, e né Davy né Volta, con l'aiuto dei loro fulmini, la cancelleranno, né l'Inghilterra con tutte le sue macchine, né da un fiume di scritti politici il nuovo secolo. L'uomo buono sarà sempre triste; il vile, il mascalzone, sempre in festa; e i mondi cospirano sempre contro il buon umore. La calunnia, l'odio e la gelosia inseguiranno il vero onore; qua e là, dall'equatore al polo, sotto qualsiasi governo, il debole sarà sempre preda dei forti, il povero, schiavo e cortigiano dei ricchi, purché questa razza non sia privata della sua casa e della fiaccola del giorno.

Questi resti di luce, queste tracce di epoche passate, è chiaro che quest'età dell'oro che sta albeggiando porta un po' il segno : la comunità umana è per natura composta di elementi e partiti contrari, e, dal giorno che è apparsa questa illustre specie, i poteri dell’intelligenza non sono mai riusciti a calmare questi odi, e nessun giornale, nessun contratto sociale, per quanto saggi o potenti possano essere, riusciranno in questo secolo. Ma, nelle questioni più serie, la felicità dei mortali sarà totale e mai vista prima. Giorno dopo giorno, i vestiti di lana e seta diventeranno più leggeri. I contadini e gli operai, spogliati dei loro rozzi abiti, copriranno la loro pelle ruvida di cotone e le loro spine di peli di castoro. Più adatti alle esigenze, più eleganti in ogni caso, tappeti, coperte, sedute, divani, sgabelli, tavoli, letti e altri mobili adorneranno gli appartamenti con la loro bellezza mensile. E la cucina focosa ammirerà nuove pentole, nuove padelle. Da Parigi a Calais, da Calais a Londra, da Londra a Liverpool, la strada, o meglio il volo, sarà più veloce di quanto osiamo immaginare; sotto l'ampio corso del Tamigi si compirà un passaggio, opera immortale e ardita, che avrebbe dovuto essere compiuta molti anni fa. Le strade meno trafficate delle capitali (ancora altrettanto sicure) saranno meglio illuminate di notte, e forse lo saranno anche quelle di altre città. Tali sono i dolci, tale è il destino benedetto che il cielo riserva ai bambini che verranno.

Beati coloro che vengono accolti mentre gemono tra le braccia della levatrice, mentre scrivo ! Coloro che vedranno giorni tanto attesi sospirando, nei quali, attraverso lunghi studi, e non appena saranno svezzati dal latte della cara nutrice, ogni bambino imparerà il peso del sale, della carne e della farina che il suo villaggio natale divora ogni mese, il numero delle nascite e delle morti che il vecchio prete registra ogni anno - quando, con la forza del vapore, stampati a milioni in un istante, come una fascia di gru nel cielo che ruba all'improvviso la luce del giorno alle vaste campagne, i giornali copriranno la pianura e le montagne e, immagino, le immense distese del mare : i giornali, anima e vita dell'universo e fonte unica di conoscenza per questo secolo e per i tempi che verranno.

Proprio come un bambino costruisce con cura un edificio a forma di torre, di tempio o di palazzo con ritagli di carta e paglia, poi, appena finito, lo guarda e subito lo demolisce, perché queste cannucce e queste foglie sono necessari per una nuova opera, così la Natura, per quanto ammirevole sembri la sua opera, disfa tutte le sue opere appena finite, per smaltire più lontano gli elementi disciolti. Ed è invano, per proteggere se stesso e gli altri da questo gioco crudele, la cui ragione gli è per sempre nascosta, che il mortale ricorre a mille astuzie apprese : a dispetto dei suoi sforzi, la Natura feroce, fanciulla invincibile, soddisfa i suoi capricci e, senza riposarsi, si diverte a costruire e a distruggere. È così che una serie infinita e mutevole di dolori e di mali senza rimedio tormentano il fragile mortale, destinato senza ricorso a morire. È così che una forza nemica, distruttiva, lo colpisce inflessibile dentro di sé e da ogni parte fin dalla nascita, stancandolo e stremandolo instancabilmente finché non cade morto, sopraffatto dalla criminale madre. Tale, nobile spirito, è l'estrema miseria della condizione mortale: la vecchiaia e la morte cominciano quando il labbro infantile preme il tenero seno che gli infonde la vita. Non credo che il XIX secolo possa correggerli più dei secoli IX o X, e nemmeno i successivi. Ma se mai si permettesse di nominare la verità con il suo nome, in ogni momento e dovunque, non solo nella città ma in tutti gli ambiti della vita, ogni uomo che nascerà sarà infelice, incurabile per essenza e per la legge che abbraccia il cielo e la terra. Ma le menti eccellenti del mio secolo hanno avuto questa idea nuova e quasi divina : nell'impossibilità di rendere felice ogni uomo della terra, hanno dimenticato l'uomo e sono partiti alla ricerca della felicità generale; questa trovata senza fatica, da tanti disperati, da tutti questi miserabili, hanno fatto un popolo felice e allegro ! Un tale miracolo, ancora inspiegato in opuscoli, riviste, gazzette, suscita l'ammirazione del gregge sociale.

O spiriti, oh saggezza, oh lucidità sovrumana di questo tempo ! E quale scienza, quale sicura filosofia, o amico, insegna il nostro secolo ai secoli futuri su argomenti ancora più sublimi e più oscuri ! Con quale costanza adora oggi ciò che ieri si burlava, e che domani demolirà per raccoglierne i resti e rialzarli il giorno dopo tra i fumi dell'incenso ! Quale fiducia, quale giudizio può ispirare il sentimento comune di questo secolo, anzi dell'anno in corso ! Quanta attenzione bisogna avere nel confrontare la propria opinione con quella dell'anno, che sarà diversa da quella dell'anno successivo, affinché non differiscano in alcun modo ! Ah, se confrontiamo l'antichità con i tempi moderni, come è progredita la nostra filosofia !

Uno dei tuoi cari del passato, degno amico, sicuro maestro di poesia, e anche di ogni arte, di ogni scienza o disciplina umana, medico, riformatore, mi disse un giorno: "Lascia lì i tuoi sentimenti. Questo tempo virile, che si dedica a severi studi economici e si occupa di politica, non gli importa. A che ti serve esplorare il tuo cuore ? Non cercare dentro di te la materia dei tuoi canti, ma canta i bisogni del nostro secolo e la speranza matura." Parole memorabili ! Sono scoppiato in una risata solenne quando ho sentito risuonare nel mio orecchio profano la parola speranza, questa parola quasi comica, simile al suono che fa la bocca che si stacca dal seno. Ma ora mi volto, mi volto, avendo finalmente compreso con esempi sicuri che non bisogna mai contraddire o rifiutare il proprio tempo se si cerca la lode e la gloria, ma lui obbedire fedelmente : così si va verso il firmamento per una via facile. Ma io che desidero lgli astri, non penso di far materia per il mio canto dei bisogni del secolo : a questo provvedono in gran parte i mercati e gli uffici; ma dirò speranza, sì, speranza di cui già gli dei ci danno una chiara garanzia : già, principio della nuova felicità, i giovani sfoggiano barbe enormi sulle guance !

Salve, o segno redentore, o prima luce dell'alba dei tempi gloriosi ! Guarda come si rallegrano il cielo e la terra intorno a te, come brillano gli occhi delle signorine e come la gloria degli eroi barbuti vola attraverso banchetti e feste ! Cresci, cresci per la patria, o virile razza moderna (senza dubbio) ! All’ombra del tuo vello cresceranno l’Italia e l’Europa tutta, dal Tago all’Ellesponto, e il mondo riposerà in pace. E tu, giovane stirpe, destinata all'età dell'oro, comincia a salutare con i tuoi sorrisi i tuoi irsuti padri, e non lasciarti spaventare dall'innocua oscurità di questi cari volti. Sorridi, tenera covata, a te è riservato il frutto di tante chiacchiere : vedi trionfare la gioia; città e campi, vecchi e giovani ugualmente felici; e le barbe fluttuano, lunghe due spanne.

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Dialogue de la nature et d'un Islandais.

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« T’es dans le vélo, qu’est-ce que tu parles ! »